iconografia

Boscolo Gianni "L'arte nella scienza"

Questo articolo è stato pubblicato nel Supplemento n. 1 di Piemonte Parchi n. 4 del 1998

Si ringraziano l’Autore e l’Editore

Bisonti, uri, elefanti, tori, ci osservano da 10, 14, 20 mila anni, dalle pareti delle grotte di Altamira, Lascaux, o da Combe d’Arc, “la cappella sistina dell’arte preistorica”. Realizzata per puro scopo estetico o parte di rituali, per noi oscuri, l’arte pittorica nasce già matura capace di esprimere movimento e vita attraverso il segno. Le arti plastiche e pittoriche dei secoli successivi ci hanno tramandato una quantità sterminata di tesori con animali, come modelli e soggetti e immagini della natura. Statuette eschimesi in avorio, mosaici greci a Creta e romani a Piazza Armerina, pitture murali nelle ville patrizie, manufatti celti e longobardi, gioielli incas, aurei ciondoli traci, giganteschi quadri ad olio, minuti e raffinati acquarelli. La storia dell’illustrazione naturalistica, o del disegno scientifico, è un mondo magico che ha le sue radici nelle grotte dei nostri antenati e si dipana nelle biblioteche medioevali, nei cabinet rinascimentali, negli studi dei pittori, nelle anguste cabine dei velieri settecenteschi, nelle retrovie dei campi di battaglia. Sulle spiagge polinesiane come negli atelier di pittura, una galleria di personaggi ed artisti, ciascuno con la propria storia: artigiani dell’acquerello, magari sconosciuti alla loro epoca, e megalomani visionari, capaci di fantasticare opere editoriali che parrebbero difficili con le tecnologie odierne, molti cacciatori (a conferma di una radice comune, seppur espressa in forma profondamente diversa, tra il birdwatcher e l’attento cultore dell’arte venatoria) e diverse donne. Le loro storie si intrecciano con le grandi rivoluzioni che hanno cambiato il mondo e la percezione della natura: l’invenzione della stampa e i grandi viaggi di scoperta. Il paziente lavoro di ricopiatura realizzato nei monasteri, ha permesso di creare le basi delle conoscenze moderne. Nei primi codici estremamente vivo fu l’interesse per le compilazioni zoologiche corredate sovente da disegni. Si trattava per lo più di motivi decorativi senza esigenze di precisione documentaria. Tuttavia  alcuni di questi bestiari , anche se impregnati di parzialità scientifica e allegoria cristiana, furono realizzati da artisti che seppero tramandare una riproduzione del soggetto tale da costituire le radici dello sviluppo dell’illustrazione naturalistica dei secoli successivi. Tra questi, due pietre miliari: De arte venandi cum avibus (voluto da Federico II nel 1250 circa) e De animalibus di Alberto Magno (concluso intorno al 1270).

Il trattato di ornitologia dell’imperatore Federico II è rimasto inedito per ben sette secoli. Il merito della sua riscoperta (o scoperta) in Italia va attribuito all’Editoriale Giorgio Mondadori che lo ha riprodotto alcuni anni fa a cura di Sergio Frugis e con un’introduzione di Danilo Mainardi con il titolo L’universo degli uccelli. Lo straordinario fascino di quest’opera consiste nel suo essere stata prodotta in pieno medioevo e di contenere annotazioni naturalistiche di grande precisione. Federico II anticipa il Rinascimento, mostrando un desiderio di conoscenza, e di verificare le precedenti credenze che nasce, ipotizza Danilo Mainardi, dal suo essere cacciatore. Il possesso non più della preda materiale attraverso l’uccisione bensì quello intellettuale attraverso la conoscenza. Il merito della parte ornitologica del De arte venandi cum avibus (Codice vaticano 1071) consiste proprio nella precisione scientifica. Tra l’altro, pur con qualche imprecisione, il re svevo utilizzò, cinquecento anni prima di Linneo, la denominazione binomia per designare le diverse specie di volatili. Fu lui e non lo scienziato svedese, a chiamare la rondine con il nome scientifico Hirundo rustica. Osservando le gru dal suo maniero ottagonale di Castel del Monte comprese che non uscivano dal letargo ma arrivavano in Puglia dai paesi scandinavi.

Le illustrazioni di questo codice, pur se precise e belle, tuttavia non esprimono un vero intento illustrativo. Chi invece interpretò in chiave illustrativa naturalistica il disegno fu Giovannino de Grassi, miniaturista del XIV secolo, a cui si devono alcuni fogli di un taccuino di disegni dove compaiono uccelli e mammiferi presenti nei serragli dei nobili lombardi dell’epoca. Giovannino de Grassi era un artista duttile, versatile nelle arti, architetto, scultore, miniatore e pittore, noto come ingegnere della fabbrica del duomo di Milano cui lavorò dal 1389 al 1398. Le sue miniature rompono anche uno schema fino ad allora praticamente indiscusso svincolandosi dai temi religiosi dominanti per accedere a nuovi campi.

Un’altra opera che segna un ulteriore passo in avanti è De natura avium et animalium realizzato da Pier Candido Decembrio. Il codice, è diviso in cinque libri (quadrupeda, aves, pisces, serpentes, vermes e mirabilia) illustrato da quasi cinquecento miniature di grande bellezza e raffinatezza. L’opera è del 1460, quindi alle soglie del Rinascimento e di una nuova fase della pittura.

Il Rinascimento porta profonde modifiche sia nell’arte che nelle scienze. Albrecht Dürer (nato a Norimberga nel 1471, morto nel 1528) è la figura che mirabilmente sintetizza il felice connubio tra espressione artistica e illustrazione naturalistica. Non si proponeva intenti scientifici; era pittore ed eccezionale incisore, ma riteneva che la massima espressione dell’arte consistesse nella capacità di copiare la natura riproducendola con estrema precisione. Ne “Il libro delle proporzioni” scrive che occorre osservare la natura nel minimo dettaglio, “perché l’arte si trova in natura, chi la può estrarre la possiede”. La sua opera naturalistica più nota è il Rhinoceros unicornis. Da uno schizzo di un ignoto pittore portoghese Dürer trasse una xilografia diventata famosa perché riprodotta e copiata per oltre due secoli fino a diventare la “vera immagine” dell’animale.

La rivoluzione silenziosa della stampa ebbe a luogo a Magonza, piccolo centro della Renania, a metà del ‘400. Qui nacque Johannes Gensleisch detto Gutemberg (probabilmente tra il 1394 e il 1399) da una famiglia di orafi. Nel 1456 fu prodotta con le lettere mobili, l’inchiostro, il torchio e la carta adatta, la Bibbia cosiddetta delle 42 righe, che segna la nascita della stampa.

L’invenzione della “scrittura artificiale” prese a modificare il modo di trasmettere le informazioni e quindi dello sviluppo della cultura. I torchi di Gutemberg diedero un contributo eccezionale allo sviluppo della rivoluzione scientifica dei secoli successivi, modificando radicalmente il modo di raccogliere dati, di trasmettere e verificare le informazioni e, per quanto riguarda il mondo naturale, diffuse le immagini che poterono così circolare in gran numero. In Italia la prima stamperia fu aperta a Roma nel 1467, seguita da Venezia nel 1469 e da Milano, Napoli e Firenze due anni dopo.

Figura emblematicamente rinascimentale è Leonardo da Vinci. In lui lo studio della natura è lo studio dei suoi misteri ed egli la rappresenta anche per comprenderla. Leonardo concepisce la natura come una straordinaria forza creatrice e distruttrice ad un tempo, che egli si sforza di scomporre in forze, movimenti, cause ed effetti. Accanto ad una grande attenzione sul “come” sono fatte le cose, egli introduce il “come funzionano”. La sua rottura innovativa darà un ulteriore impulso alle scienze in generale ed a quelle della natura in particolare.

Ma in quegli anni cominciava un’altra epopea: i grandi viaggi di scoperta. Mossi da mire molto concrete, oro e spezie, animati, ispirati e finanziati dai grandi imperi marinari che nei secoli hanno dominato l’Europa, le navigazioni hanno contribuito alla scoperta del mondo naturale ed alla sua descrizione.

Colombo trasportò in Europa, nei suoi quattro viaggi nel nuovo continente, oltre ad indigeni da mostrare come fenomeni da baraccone, frutti sconosciuti come l’ananas e le patate. Con i suoi viaggi comincia il grande scambio tra le due rive dell’oceano.

In quell’epoca anche i naturalisti cercavano una rotta per districarsi nel caos del creato. Le scienze naturali si portavano dietro l’eredità di Aristotele e Teofrasto, di Plinio il Vecchio e dei bestiari medioevali e, mentre ancora cercavano di mettere ordine, furono investiti da una quantità sterminata di piante ed animali sconosciuti.

Questo sterminato mondo affascinava il bolognese Ulisse Aldrovandi che si offrì a Filippo II per guidare una spedizione scientifica. Ma i tempi non erano ancora maturi per il connubio navigatori – naturalisti. Le scienze della natura vivono a metà del Cinquecento un profondo rigoglio in Europa e, in particolare, nella Toscana dei Medici: a Pisa nel 1543 e Firenze nel 1545 nascono i primi orti botanici. Ulisse Aldrovandi lavora diversi anni alla corte dei Medici intessendo rapporti con sovrani e colti di tutta Europa; per oltre trent’anni si dedicò alla stesura di una ponderosa Storia naturale in ben tredici volumi. Impresa emblematica anche per l’enorme quantità di tavole illustrate che commissionò ai migliori pittori ed incisori dell’epoca, Giovanni Neri, Cristoforo Coriolano, Lorenzo Benini, Pastorino Pastorini e al migliore tra questi, Jacopo Ligozzi. Nonostante il crescente scambio di informazioni, permangono retaggi del passato, informazioni travisate ed errori. Nel 1555 il naturalista Konrad von Gesner salì sul Monte Pilatus presso Lucerna per smentire la leggenda che lassù vivesse un fantasma, tuttavia nella sua Enciclopedia, compaiono l’uomo – marino ed il pesce vescovo con la testa a forma di mitra. Eredità del passato e nuove concezioni scientifiche peraltro, convivranno ancora a lungo. Sul finire del XVI secolo si assiste al massimo sforzo da parte degli scienziati della natura di compilare un gigantesco schedario dell’esistente. Censire, enumerare, descrivere una quantità di esseri attingendo dalle fonti antiche integrandole con informazioni scientifiche e curiose, ma, soprattutto, far vedere. L’invenzione della stampa facilitava tutto ciò, anche se molti codici e raccolte rimasero in copia unica. Come l’Aldrovandi, Belon, Rondelet, Mattioli, Salviani, Fuchs, Brunfels, si dedicarono a compilare il catalogo del conosciuto che continuamente si dilatava. Gli ultimi due, furono gli autori dei primi erbari figurati: Herbarium Vivae Eicones (1530) fu opera di Brunfels e il De Historia Stirpium, del 1542, di Leonhart Fuchs.

Altra figura di spicco dell’epoca fu Bartolomeo del Bimbo, detto Bimbi, nato presso Firenze nel 1648. Il granduca Cosimo III de Medici gli inviava perché fosse dipinto, ogni frutto che arrivava sulla sua tavola, per conservare sulle tele la memoria della grande varietà di frutti che venivano coltivati all’epoca nelle serre toscane. Francesco Redi, naturalista e linguista dell’epoca, elogia questa abitudine del Signore di Firenze mosso non da “vano e curioso diletto, ma per lo solo beneficio di coloro che investigano e scrivono le diverse nature e proprietà delle piante…”

Anche studiosi contemporanei ringraziano l’uso indotto da Cosimo e l’abilità del Bimbi. Qualche anno fa le sue tele sono state passate al vaglio scrupoloso di scienziati che, utilizzando una bibliografia contemporanea del pittore, hanno identificato una varietà sterminata di cultivar di frutta. Centododici tipi di agrumi, 30 varietà di pesche, più di cento pere, 39 susine, 77 uve da tavola. E con ricerche “certosine” ne hanno anche rinvenute alcune ormai non più utilizzate nella produzione. I dipinti del Bimbi influenzarono anche il ligure Giorgio Gallesio, che nella prima metà dell’ottocento si occupò della varietà biologica delle mele, coltivando, studiando e facendo disegnare un’altrettanto affascinante “Pomona Italiana”. Mentre i navigatori stavano scoprendo che il mondo era molto più esteso di quanto credessero, i naturalisti scoprivano che, questo mondo, era molto più vario di quanto immaginassero.

All’inizio del ‘600 nascono in Francia, Olanda ed Inghilterra le Compagnie delle Indie allo scopo di commerciare i prodotti dell’estremo oriente e del Nuovo Mondo (le Indie occidentali).

Ma sarà il sorgere delle società scientifiche nella seconda metà del secolo che porterà ad un mutamento radicale nelle spedizioni scientifiche.

Le due nazioni in cui l’intreccio tra scienze naturali e potere economico e politico si concretizza più palesemente ed efficacemente sono Francia e Inghilterra. Nel 1660 a Londra nasce la Royal Society, seguita dall’Acadèmie des Sciences di Parigi nel 1666. La Francia di Colbert e Luigi XIV istituisce anche il Jardin de Plantes che rapidamente diventa un centro fondamentale per lo studio dei terreni e dei climi. Infatti il sapere scientifico viene utilizzato per lo studio sul modo di trasferire la coltivazione delle spezie e delle numerose specie arboree in patria o per lo meno nei territori coloniali. Il potere coloniale francese comunque è in declino e sarà l’Inghilterra a saldare insieme potere navale, studio scientifico e commerci. Nel 1764 nascono due giardini botanici (Saint Vincent e Saint Thomas): si porranno l’obiettivo di trasformare in fattore economico i viaggi di esplorazione di Cook. Figura chiave di questo mutamento è Joseph Banks che fu presidente della Royal Society e operò perché i Royal Botanic Gardens di Kew si trasformassero da “gardens for pleasure” in centri di ricerca botanica.

Il Settecento risulta così un periodo chiave per la modifica delle prospettive con cui si studia la natura. Il Seicento, con i suoi “cabinet” di curiosità in cui venivano ammassati i più svariati reperti, evolve nel Settecento di Linneo ad un sistema razionale che supera il descrittivismo. Un contributo scientifico fondamentale lo forniscono gli illustratori naturalistici sempre più inviati direttamente sul campo. Fino ad allora infatti riproducevano esemplari mal conservati o mal imbalsamati. Gli uccelli del paradiso, ad esempio, furono conosciuti in Europa portati dai reduci della spedizione di Magellano nel 1522. Soltanto che la tecnica di imbalsamazione li privava delle ossa e delle zampe, alimentando così la fantasia che non si posassero mai. Tra i disegnatori di questo secolo occorre ricordare Eleazar Albin, autore di un bel “Libro degli Uccelli” ristampato qualche anno fa da Allemandi. Un altro grande illustratore fu Mark Catesby, aiutato dalla Royal Society ad effettuare un viaggio nelle Americhe i cui acquerelli furono pubblicati nel 1731. Figura simbolo di quest’epoca è Maria Sibylla Merian: dal 1699 al 1701, raccoglie, osserva, studia ed illustra gli insetti del Suriname, tra le foci dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, allora Guyana olandese. I suoi lavori suscitano l’entusiasmo degli esperti quando il suo volume, divenuto celebre, Metamorphosis Insectorum Surinamensium, vedrà la luce nel 1705. Merian è la capostipite di una lunga serie di donne artiste che si dedicheranno all’illustrazione della natura: la figlia di Albin, Elisabeth, una schiera di pittrici dell’epoca vittoriana, fino all’ultima, in ordine di tempo, Margaret Mee, deceduta qualche anno fa, una vita dedicata alla flora amazzonica.

Tra i grandi illustratori “sul campo” occorre ricordare Sidney Parkinson che accompagnò Cook nel suo primo viaggio e Philippe Commerson che viaggiò sulla stessa rotta con il grande navigatore, esploratore  e   gentiluomo   francese, Bougainville.

Ancora agli inizi del XVIII secolo i naturalisti non  disponevano di un efficace sistema per catalogare il vivente. Fu lo svedese Carl von Linnè (1707-1778) ad ideare le coordinate all’interno delle quali collocare ogni pianta ed animale.

Lo studioso svedese spinse anche molti suoi studenti ad aggregarsi ai viaggi di esplorazione creando una  comunità di giovani naturalisti in giro per il mondo a catalogare e raccogliere esemplari. Peter Kalm andò nel nord America, Frederick Hasselquist viaggiò a lungo in Palestina, Siria, Cipro sovvenzionato dal senato svedese. Osbek si recò invece in Cina, mentre Sparrman visitò Capo di Buona Speranza e Thunberg il Giappone. Peter Forsskål fu il più simpatico e sfortunato dei suoi allievi. Nel 1761, non ancora trentenne, si aggrega, segnalato da Linneo, alla prima spedizione occidentale nello Yemen allora chiamato Arabia Felix. Per compiacerlo e potergli inviare degli esemplari di erbario si fece carico di prevedere che semi e fiori, raccolti durante il viaggio, venissero inviati ai botanici delle maggiori università europee. Cosa che non avrebbe potuto fare soltanto per Linneo: essendo la spedizione danese infatti tutto doveva confluire esclusivamente a Copenaghen. Morì l’11 luglio 1763 a Yerim nello Yemen; viene seppellito nella terra essendo servita la sua bara a pagare l’ebreo che controvoglia l’aveva sepolto. Durante la spedizione invia in diverse riprese numerose casse di animali ed uccelli, un erbario di circa 1300 piante e duemila semi. Moltissimo altro suo materiale andò disperso. Rimane soltanto una pianta chiamata Forsskålea, il cui nome è dovuto a Linneo, un’ortica “tenacissima, hispyda, adhaerens, uncinata”.

Tenacissima come lo sfortunato, attivissimo, botanico alla ricerca dell’Arabia Felice.

Un altro allievo di Linneo fu Carl Peter Thunberg, che visitò il Giappone nel 1775 e costituì un vigoroso stimolo per i naturalisti locali, avviando scambi di conoscenze che saranno potenziati nella prima metà del XIX secolo. Ma il più noto sarà Daniel Solander che Linneo fece assumere come bibliotecario da Joseph Banks, il mecenate europeo della storia  naturale della successiva generazione. Fu proprio Banks a portare Solander nel viaggio con Cook sull’Endeavour. Altro scandinavo, scoperto recentemente, specie come illustratore, è Olof Rudbeck il giovane. Era uno dei tanti “figli d’arte” dell’epoca: il padre era medico e professore universitario quando nel 1693 venne progettata una spedizione in Lapponia ottenne una sovvenzione per il figlio che si unì al viaggio. Il giovane Olof partì con carta, pennelli ed acquerelli e ne tornò con una serie di tavole che divenne “il libro degli uccelli”.

Dipinto con gli acquerelli, qualche volta impreciso dal punto di vista ornitologico, racchiudeva però una cura del dettaglio da miniaturista. Sulle ali del gallo cedrone, ad esempio, vi sono alcune macchie quasi invisibili ad occhio nudo, ma che osservate con la lente di ingrandimento si rivelano insetti disegnati con tale precisione da poter essere classificati, Il suo libro in copia unica è stato sepolto negli archivi del barone de Geer, primo proprietario, fino a pochi anni fa.

Alla fine del Settecento si è tutt’altro che spento il desiderio di conoscere, annotare, disegnare la natura. Quando Napoleone si imbarca nel 1798 da Tolone con un’imponente flotta alla volta dell’Egitto per attaccare uno dei punti di forza inglesi, si porta appresso duecento civili. Costituiscono la Commissione delle Scienze e delle Arti dell’Armata d’Oriente. Pittori, paesaggisti, naturalisti, studiosi di ogni branca. Quando sconfitti ad Abukir i francesi volgeranno le vele di nuovo verso la patria si porteranno dietro un vero tesoro di informazioni, appunti, disegni, reperti (tra cui la famosa stele di Rosetta che Champollion usò per interpretare i geroglifici). Tutto questo lavoro (e razzie) divenne una monumentale Description de l’Egypte, la cui parte naturalistica è illustrata da 244 tavole di cui 14 dedicate agli uccelli. Sono forse le più famose: Geoffroy Saint-Hilaire e Jules ­Cesar Lelorgne de Savigny descriveranno 44 specie ornitologiche che verranno dipinte da Jacques Barraband e Henri Joseph Redoutè con grande arte contribuendo a rendere celebre l’intera opera.

John James Audubon fu pittore di grande talento e cacciatore frenetico, che pubblicò a Londra (1827-1838) un titanico e preziosissimo “The birds of America”. Dopo aver preso, per soli sei mesi, lezioni di pittura dal già celebre Louis David, torna a Filadelfia dove alterna attività commerciali con la caccia ed il disegno. Qui matura un progetto grandioso: dipingere l’intera avifauna americana in grandezza naturale. Ma né a New York né a Filadelfia trova stampatori in grado di far fronte ad un’opera così inconsueta e megalomane. Nel 1826 si reca in Inghilterra e Scozia dove cerca un editore in grado di affrontare l’impresa e raccoglie i sottoscrittori per la sua opera. La stampa inizia l’anno successivo ad Edimburgo: gli acquerelli vengono trasferiti su lastre di cuoio e successivamente dipinti, uno per uno, a mano. In tutto saranno 87 fascicoli di cinque tavole ciascuno tirati in 170 copie. Per lui viene prodotto un formato speciale di carta, l’in folio doppio elefante (centimetri 103 x 69). Complessivamente 435 tavole vendute a mille dollari, parte in America e parte in Inghilterra. Una delle edizioni complete è stata battuta ad un’asta, dieci anni fa, a 2 milioni di dollari. Nonostante il formato gigantesco delle sue stampe, aironi, gru, fenicotteri dovranno essere ritratti in posizioni strane e non sempre naturali, tuttavia la sua opera, di cui fu un abilissimo promotore aiutato da un carisma che gli derivava da una forte personalità e da un phisyque du role che alimentava girando vestito da trapper, fece amare e conoscere gli uccelli d’America. La fondazione che ha preso il suo nome, l’Audubon Society, ha contribuito negli anni che seguirono a salvaguardare la natura americana promuovendo parchi ed oasi faunisfiche.

Un altro grande dell’illustrazione fu l’inglese John Gould (1804-1881); naturalista iniziò la sua carriera come capo imbalsamatore della Zoological Society. Sebbene eccellesse nel fare schizzi degli animali a cui sparava, fu soprattutto un eccezionale organizzatore. Si circondò infatti di valentissimi pittori, che traducevano i suoi schizzi in raffinati acquerelli, e di abili incisori. Anche a fianco di questo uomo di successo, come accade sovente, visse nell’ombra una moglie eccezionale: Elizabeth che gli fu moglie per diciotto anni, gli diede sei figli e dipinse molti dei suoi schizzi prima di morire a soli 37 anni. Insieme illustrarono una delle relazioni di Darwin di ritorno dal viaggio sulla Beagle: compresi quei fringuelli delle Galapagos dai molti tipi di becco “specializzato” che costituirono uno degli spunti più fecondi per le teorie dell’evoluzione.

Tra i suoi allievi si distinse Edward Lear, uno dei tanti inglesi innamoratosi della nostra riviera ligure. Nato ad Holloway nel 1812, nel 1837 venne a Roma per questioni di salute e si innamorò dell’italia; in particolare di Sanremo dove si stabilì nel 1865 per rimanervi fino alla morte avvenuta nel 1888. Lear aveva iniziato la sua carriera come illustratore ornitologico, a 16 anni era già molto apprezzato, ma divenne famoso con la realizzazione di Illustration of the Family of Psittacidae, or Parrots, un libro sui pappagalli. In seguito Gould gli affidò diverse illustrazioni dei suoi libri Birds of Europe Toucans. Negli anni successivi Lear si dedicò alle vedute ed all’illustrazione dei viaggi compiuti in Corsica ed in Egitto e divenne un noto, seppur non ricco, vedutista. Anche la storia dell’illustrazione botanica è altrettanto ricca di vicende ed artisti. Su tutti basti ricordare Pierre Joseph Redoutè (1759-1839), morto al cavalletto con in mano un giglio appena dipinto; i suoi originali sono battuti nelle aste al prezzo dei Van Gogh.

L’arte di dipingere la natura vedrà un lento declino per il sorgere della fotografia anche se non scomparirà mai del tutto. Negli ultimi anni poi, con il diffondersi di pubblicazioni scientifiche e divulgative sulla natura, ha ripreso vigore e nuovi nomi si sono aggiunti allo stuolo di artisti che negli austeri salotti vittoriani o nell’inestricabile vegetazione tropicale, vissero e lavorarono per documentare e celebrare l’immagine della natura.

Passerin d'Entrèves Pietro "La fauna disegnata"

Questo articolo è stato pubblicato nel Supplemento n. 1 di Piemonte Parchi n. 4 del 2001

Si ringraziano l’Autore e l’Editore


All’interno del vasto panorama di manoscritti, incunaboli, cinquecentine e secentine ancora disponibili al giorno d’oggi all’interno delle più importanti biblioteche, non risulta particolarmente facile selezionare le opere che, oltre a descrivere in modo più o meno accurato le specie animali e vegetali, bene mettono in risalto il rapporto intercorrente tra arte e natura. Rapporto caratterizzante, sempre molto sentito dai vari autori e splendidamente compendiato nell’affermazione di Eleazar Albin, autore di importanti volumi di Storia Naturale: “L’arte e La natura dovrebbero sempre andare la mano nella mano, come due sorelle, sì da potersi aiutare ed assistere a vicenda”.

Molte corti europee e soprattutto italiane, nel Cinquecento e nel Seicento favorirono lo studio della natura e la pubblicazione di importanti volumi relativi a questo argomento. Del resto è nota la grande utopia cinquecentesca che riteneva di poter trattare l’intero mondo naturale all’interno di uno solo o comunque di pochissimi   tomi. Rendere visibili agli occhi  del  lettore piante ed animali noti solamente a pochi naturalisti, voleva inoltre dire renderli più facilmente riconoscibili a tutti e mettere in luce in modo migliore le loro intime caratteristiche.

Pur restringendo il campo al solo mondo animale e ponendo l’accento sulla produzione libraria dei secoli XVII e XIX, non possiamo non partire dalle opere di Caio Plinio Secondo e di Alberto Magno, rispettivamente la Naturalis Historia e i De animalibus libri vigintisex novissime impressi, stampati a Venezia, il primo nel 1469 e il secondo nel 1519. In particolare l’opera di Alberto Magno rappresenta una grande novità nel non vasto panorama delle pubblicazioni del tempo in quanto le descrizioni sono basate su osservazioni dirette dell’autore che fornisce anche precise notizie su aspetti ecologici e riproduttivi degli organismi trattati.

La scoperta dell’America, oltre alla conoscenza di un mondo nuovo con le sue abbondanti ed inusitate ricchezze naturali, aveva rinvigorito l’animo dei viaggiatori e spinto le grandi potenze marinare ad incrementare le esplorazioni di nuove terre.

Vengono pertanto pubblicati nel breve spazio di un centinaio d’anni alcuni fra i più importanti trattati oggi conosciuti, alcuni dei quali rappresentano già delle grandi enciclopedie, fra cui i quattro libri delle Historiae animalium dello svizzero Konrad Gesner editi tra il 1551 eil 1558, i De animalibus insectis, De quadrupedibus digitatis, De quadrupedibus solipedibus, De piscibus et cetis, e l’Ornithologiae… del bolognese Ulisse Aldrovandi, editi tra il 1638 ed il 1652, il De Motu animalium di Giovanni Alfonso Borelli, la Historia Naturale di Ferrante Imperato (1672), le Historiae Naturalis de Avibus (1657-1719)le Historiae Naturalis de insectis (1655-57), le Historiae Naturalis de quadrupedibus (1657), le Historiae Naturalis de piscibus et cetis (1657) e le Historiae Naturalis de exangiubus  aquaticis (1565) di Johannes Jonston. Tutte queste opere sono accompagnate da tavole talvolta fantasiose, talvolta invece assai precise, che illustrano le specie descritte, ritrarre perlopiù in modo assai statico od in atteggiamenti improbabili, ma quasi mai inserite nel loro ambiente abituale. In qualche caso poi le illustrazioni appaiono chiaramente copiate le une dalle altre, riportando gli stessi errori o le stesse credenze. Non tutti gli autori, o gli editori, avevano infatti a disposizione ampi materiali, o artisti in grado di riprodurli fedelmente, il plagio dunque rimaneva già allora l’unica forma per avere con facilità quanto mancava.

Particolare interesse presentano oggi per noi i trattati dedicati ai mostri animali, ricchissimi di illustrazioni nella maggior parte dei casi assolutamente inverosimili, ma forse anche per questo particolarmente affascinanti. Si spazia così dai noti liocorni, al meno conosciuto pesce vescovo, dalle chimere agli uomini con zampe di gallina, includendo inoltre animali malformati, animali siamesi e teratologie varie.

Fra tutti i trattati su questo argomento forse il più noto è quello relativo alle Monstrorum historiae di Ulisse Aldrovandi, che segue di due anni la pubblicazione da parte dello stesso autore del Serpentum et Draconum historiae, in cui già l’argomento era ampiamente abbozzato e che ci offre un vero e proprio campionario di “Naturalia et Mirabilia”.

Oltre ai volumi più sopra indicati, particolarmente gradevole da sfogliare è 1′Uccelliera di Gian Pietro Olina, pubblicata a Roma nel 1622, ricca di incisioni eseguite dal Tempesta e dal Villamena, rigorosamente in bianco e nero, che ci mostrano con dovizia di particolari l’arte dell’uccellagione e che costituì per lunghissimo tempo un manuale indispensabile a tutti gli appassionati di quel modo di cacciare.

In epoche più vicine a noi, grazie anche alle innumerevoli spedizioni militari e scientifiche che di fatto ampliarono di molte migliaia di chilometri l’orizzonte mondiale e portarono l’uomo a contatto stretto con l’ambiente oceanico, troviamo un vero fiorire di pubblicazioni che oltre a presentare perlopiù in modo più completo le varie specie animali, utilizzano anche il colore a completamento e maggior ornamento delle tavole che accompagnano le opere. Fra le pubblicazioni più belle e fortunate ricordiamo quelle di Maria Sibylla Merian (1647-1717) e cioè la Dissertation sur la generation et la transformation des Insectes del 1726 e l‘Histoire des Insectes del 1730, non solo per l’interesse delle faune da lei descritte, principalmente quella del Suriname, ma anche perché opera della prima donna disegnatrice professionista in ordine di tempo. Di lei, tra il resto, rimangono un numero incredibile di disegni sparsi in numerosi musei.

A Eleazar Albin, naturalista di origine tedesca, ma vissuto in Inghilterra dobbiamo alcune interessanti opere come A Natura/ History of Insects (1720), A Natural History of Spiders (1736), ma soprattutto A Natural History of Birds (1731-38). Quest’ultima è la prima opera inglese sugli uccelli con tavole a colori, perfettamente riprodotte dall’Albin stesso, dalla figlia Elizabeth e dal figlio Fortin.

Ma è certamente a Jean Louis Le Clerc, conte di Buffon cui siamo debitori della prima vera enciclopedia moderna illustrata del mondo animale (1749-1804), che ottenne un successo straordinario con un numero elevatissimo di ristampe durante tutto l’Ottocento. L’opera originaria, in 44 volumi, descrive in modo approfondito quanto conosciuto all’epoca, esponendo anche nuovi criteri sull’antichità  della terra e sulla sua origine.

Nell’Ottocento, John James   Audubon (1785-1851) con il suo eccezionale, raro e preziosissimo  The Birds  of America (1827-1838), raggiunge livelli impensati. L’opera descrive gli uccelli nordamericani, raffigurandoli in grandi tavole in cui le specie sono perfettamente rappresentate e inserite in modo opportuno nell’ambiente. È questa la stagione dei grandi trattati ornitologici, fra i quali la Monography of Pheasant di Elliot e i lavori di John Gould possono essere considerati senza difficoltà dei veri capolavori.

Gould (1804-1881) in particolare, a partire dal 1832 con la pubblicazione di  A Century of Birds from the Himalaya Mountains, diviene non solo l’insuperabile illustratore dell’ornitofauna mondiale, ma nello stesso tempo un naturalista di gran livello. Al termine della sua attività ci restano ben 41 volumi tutti di grande formato con più di tremila tavole a colori dove ogni specie è rappresentata nel proprio ambiente, unendo veramente arte e natura come mai prima era stato possibile fare. The Birds of Europe, The Birds of Australia, The Birds  of Asia e alcune monografie mantengono inoltre inalterato il loro valore scientifico contenendo centinaia di specie descritte per la prima volta dallo stesso Gould.

L’immagine naturalistica ed i testi associati rappresentano dunque l’unica fonte attraverso la quale noi oggi possiamo renderci conto dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche attraverso i secoli, delle scoperte e degli errori e sono pertanto una insostituibile fonte per lo studio della biodiversità e della Storia della Scienza. 

Abbattimenti

Didascalie immagini abbattimenti

1. Orso bruno maschio ucciso da Giuseppe Schwienbacher a Santa Valpurga d’Ultimo il 27 maggio 1930. Fonte Guido Castelli “L’orso bruno nella Venezia Tridentina” tav. 53, fig. 73.

2. Gruppo di cacciatori di Santa Valpurga d’Ultimo, che presero parte alla battuta per l’uccisione dell’orso, il 27 maggio 1930. Fonte Guido Castelli “L’orso bruno nella Venezia Tridentina” tav. 53, fig. 74.

3. “5 predatori e 4 vittime – ossia la strage di un’intera famiglia” Orso bruno femmina adulta uccisa il giorno 11 maggio 1910 in località detta “Le Valli” di Flavon (ai piedi del Monte Peller) da Zanini Giuseppe fu Giovanni di Flavon. Furono pure -con atto di inaudito (!) coraggio- ignobilmente abbattuti i tre orsacchiotti che la accompagnavano, che non erano più grandi di una lepre: erano due femmine ed un maschio. E pensare che coi tre piccoli si poteva fondare un allevamento di riserva dell’autentico orso delle Alpi! Fonte Guido Castelli “L’orso bruno nella Venezia Tridentina” tav. 48, fig. 64.

4. L’ultimo orso in Carnia fu abbattuto nel 1911, in località “Schialote” sotto il Comune di Sauris, dal sig. Michele Colle. L’orso pesava 220 chili e fu abbattuto a palla. Dopo che i cani ebbero stanato un capriolo, trovarono le tracce dell’orso che giunse alla posta di Michele Colle, che era munito di un drilling. Fonte Diana, 31 gennaio 1972.

5. Il lupo ucciso a Ferriere. Luigi Bassi di Gambaro di Ferriere con il lupo ucciso nel 1921. Fonte Pecorini Maggi P.L.  Cent’anni di caccia nel Piacentino. 1991, Amministrazione Provinciale di Piacenza. Courtesy Aldo Oriani

6. Femmina d’orso bruno uccisa da Cattani Verecondo da Termon il 2 ottobre 1930 in località “Aighe” del comune di Denno in Val di Non. Fonte Guido Castelli “L’orso bruno nella Venezia Tridentina” tav. 56, fig.75

7. Un lupo ucciso presso Palagiano. Un lupo, che da diversi giorni si aggirava nei dintorni di Palagiano, è stato freddato il 27 febbraio dal sig. De Florio Giuseppe il quale qui sotto mostra la bella preda. Fonte Venatoria, Anno 2°, n. 6 del 15 marzo 1932. Courtesy Aldo Oriani

8. Il predone si era fatto sorprendere all’alba fuori della forra o perché trattenuto dai morsi della fame o perché spinto da altro stimolo più prepotente che gli aveva fatto dimenticare l’innata prudenza. Un cacciatore della montagna lo aveva intravisto a distanza. L’ha atteso e gli ha ficcato quattro pallettoni nella gola. Il predone aveva sulla coscienza 37 pecore sgozzate nel territorio di Manoppello (Pescara). Fonte  Venatoria, Anno 4°, n. 2 del 12 gennaio 1934. Courtesy Aldo Oriani

9. Il trionfale ingresso in paese dei tre lupi recentemente uccisi sul Monte “Tancia” (Rieti) dove avevano fatto strage di pecore e vitelli.  Fonte  Venatoria, Anno 7°, n. 15 del 15 aprile 1937. Courtesy Aldo Oriani

10. Con la coadiuvazione del Sig. Angelo D’Agostino, il guardiacaccia Giuseppe Deodato ha ucciso un grosso lupo che aveva gettato il terrore nell’abitato di Prateria (Reggio Calabria).  Fonte  Diana, Anno XLIV, n. 21 del 15 novembre 1949, pag. 576. Courtesy Corradino Guacci

11. Il guardiacaccia Vittorio Capannolo mostra uno dei due grossi lupi, uccisi durante una battuta effettuata per conto della sezione dell’Aquila. Fonte  Diana, Anno XLVII, n. 5 del 15 marzo 1952, pag. 116. Courtesy Corradino Guacci

12. Vincenzo Sarrocco mostra uno dei due grossi lupi, uccisi durante una battuta effettuata per conto della sezione dell’Aquila. Fonte  Diana, Anno XLVII, n. 5 del 15 marzo 1952, pag. 116. Courtesy Corradino Guacci

13. Lupa uccisa il 3 febbraio dal sig. Domenico Di Basilio di Amatrice (Rieti).  Fonte  Diana, Anno XLIX, n. 5 del 15 marzo 1954, pag. 151.  Testo  “Ci giunge notizia da Amatrice che il 3 febbraio, un cacciatore del luogo, il sig. Domenico Di Basilio, seguendo le orme di tre lupi che da vari giorni si aggiravano nei pressi del paese, all’improvviso, in località “La croce” si trovò faccia a faccia con una grossa lupa. Senza por tempo in mezzo le scaricò addosso due colpi a bruciapelo, che raggiunsero la bestia ferendola. Questa, inferocita dalla ferita, si lanciò contro il cacciatore, il quale tentò di ricaricare la doppietta senza riuscirvi. Allora il Di Basilio si rifugiò dietro un albero, mentre la bestia lo incalzava da vicino; qui ripresa la padronanza di sè, riuscì a ricaricare il fucile e ad abbattere con altri due colpi il lupo.” Courtesy Corradino Guacci

14. Lupa uccisa il 3 febbraio dal sig. Domenico Di Basilio di Amatrice (Rieti).  Fonte  Diana, Anno XLIX, n. 5 del 15 marzo 1954, pag. 151  Testo  “Ci giunge notizia da Amatrice che il 3 febbraio, un cacciatore del luogo, il sig. Domenico Di Basilio, seguendo le orme di tre lupi che da vari giorni si aggiravano nei pressi del paese, all’improvviso, in località “La croce” si trovò faccia a faccia con una grossa lupa. Senza por tempo in mezzo le scaricò addosso due colpi a bruciapelo, che raggiunsero la bestia ferendola. Questa, inferocita dalla ferita, si lanciò contro il cacciatore, il quale tentò di ricaricare la doppietta senza riuscirvi. Allora il Di Basilio si rifugiò dietro un albero, mentre la bestia lo incalzava da vicino; qui ripresa la padronanza di sè, riuscì a ricaricare il fucile e ad abbattere con altri due colpi il lupo.”  Courtesy Corradino Guacci

15. Le guardie del Parco Nazionale d’Abruzzo, Paglia e Ursitti, con la loro vittima.  Fonte  Diana, Anno L, n. 1 del 15 gennaio 1955, pag. 25  Testo  “Dopo aver fatto sentire il loro peso sui bracconieri e pescatori di frodo, verbalizzando e sequestrando armi, lacci, trappole ed ogni altro strumento atto alla caccia od alla pesca, gli agenti del Parco Naz. d’Abruzzo, ora che la stagione comincia a consentirglielo, non trascurano di volgere la loro attenzione su altri bracconieri, quelli a quattro zampe, non meno dannosi dei primi e più di questi temuti dalla selvaggina stanziale protetta. Pur essendo agli albori della stagione invernale e nonostante la mancanza assoluta di un elemento essenziale, la neve, che, oltre a facilitarle, contribuisce sulla buona riuscita delle catture, già si sono avuti risultati incoraggianti sui primi appostamenti e buoni frutti ha già dato anche la posa dei primi bocconi avvelenati. Difatti al primo esemplare di lupo abbattuto, un superbo maschione freddato il 23 dal piombo micidiale della infallibile doppietta della guardia Francesco Di Giulio in quel di Bisegna, è seguita, a distanza di appena due giorni, una femmina rimasta vittima di una leccornia venefica appositamente apprestatale e al momento opportuno deposta, in Valfondillo di Opi, dalla pattuglia ivi in servizio composta dalla sempre giovane guardia Biagio Paglia e dall’instancabile suo coadiutore e collega Antonio Ursitti. Ma questi risultati possono considerarsi il preludio di una serie di uccisioni e catture di animali di rapina nella zona del Parco e principalmente della “Camosciara” dove, per favorire il ripopolamento delle specie protette e principalmente del camoscio d’Abruzzo verrà presto intrapresa e condotta con accanimento una spietata lotta contro tutti gli animali predatori.”  Courtesy Corradino Guacci

16. Una lupa catturata viva dal sig. Pietro Gentile di Panettieri (Cosenza).  Fonte  Diana, Anno L, n. 2 del 31 gennaio 1955, pag. 63. Courtesy Corradino Guacci

17. Lupa uccisa in zona Matine (Bitonto) dal sig. Vincenzo Lozito, presidente della Sezione di Grumo (Bari) in collaborazione con i sigg. Antonio D’Elia, Pasquale Fanelli e Giacomo Lozito.  Fonte  Diana, Anno L, n. 12 del 30 giugno 1955, pag. 425. Courtesy Corradino Guacci

18. Le guardie del Parco Naz. d’Abruzzo, Paglia e Ursitti con i due lupi recentemente uccisi.  Fonte  Diana, Anno L, n. 21 del 15 novembre 1955, pag. 723  Testo   Da alcuni giorni si nota, qua e là, la presenza di lupi che nelle loro apparizioni fanno lamentare danni alle greggi e perfino agli equini. Ma le guardie del Parco Naz. d’Abruzzo, sempre vigili e pronte ad intervenire per prevenire e, se necessario, anche a reprimere eventuali abusi da parte di cacciatori dai pochi scrupoli, per la sicurezza della fauna che vive nel Parco, specialmente il camoscio ed il capriolo, non trascurano di tenere sotto attento controllo anche i movimenti di questi temibili predoni. Giorni or sono si seppe dell’uccisione di un somaro avvenuta, nella vicina Opi, ad opera dei lupi. Le guardie Paglia ed Ursitti, ivi di stanza, , non ci dormirono sopra portandosi immediatamente sul posto dove, dopo lunghe ore di estenuante appostamento, sfidando l’inclemenza della stagione, riuscirono ad abbattere due (un maschio ed una femmina) dei quattro componenti la masnada dei malfattori. Gli altri due, vista la mala parata, si sono eclissati ma con essi il conto è rimasto provvisoriamente sospeso e si spera di poterlo presto regolare.  Courtesy  Corradino Guacci

19. Lupa uccisa in quel di San Giovanni in Fiore (Cosenza), dal sig. Francesco Piccolo, in compagnia della guardia di finanza Vitaliano Rotondo.  Fonte  Diana, Anno LI, n. 2 del 31 gennaio 1956, pag. 63. Courtesy  Corradino Guacci

20. Un grosso lupo ucciso nelle campagne di Corleto (Potenza) dal sig. Costantino Lombardi di 18 anni.  Fonte  Diana, Anno LI, n. 11 del 15 giugno 1956, pag. 381. Courtesy  Corradino Guacci

21. Il Presidente della Sez. Cacciatori di Castronuovo S. Andrea, sig. Alessandro Di Pierro con uno dei due lupacchiotti da lui catturati.  Fonte  Diana, Anno LI, n. 14 del 31 luglio 1956, pag. 470. Courtesy  Corradino Guacci

22. I sigg. Antonio Di Salvo, Biagio Coia e Salvatore Coia di Sesto Campano (Campobasso) con una lupa uccisa nel bosco di Cesima.  Fonte  Diana, Anno 53, n. 3 del 15 febbraio 1958, pag. V. Courtesy  Corradino Guacci

23. Il lupo ucciso nel marzo scorso da Florindo Beoni (a sinistra) in una battuta effettuata sul Monte Marino. [Bagno di Romagna (ndr)]  Fonte  Diana, Anno 53, n. 9 del 15 maggio 1958, pag. 291. Courtesy  Corradino Guacci

24. Il nostro abbonato Pasquale Palmieri con un lupo ucciso sulle montagne della Sila.  Fonte  Diana, Anno 54, n. 1 del 15 gennaio 1959, pag. 37. Courtesy Corradino Guacci

25. Un grosso lupo, del peso di 34 chili, ucciso il 10 gennaio scorso dal sig. Lodovico Venturi di Badia Tedalda (Arezzo).  Fonte  Diana, Anno 54, n. 3 del 15 febbraio 1959, pag. 37.  Testo  “Si ha notizia da Badia Tedalda (Arezzo) che da diverso tempo si sospettava la presenza di un lupo nella zona del Monte Alpe della Luna; erano state infatti trovate alcune pecore uccise, altre mancanti. Il 10 gennaio scorso, finalmente, dopo una nevicata, furono notate delle tracce. Fatto un giro ispettivo per delimitare la zona dove il lupo poteva trovarsi, fu organizzata una battuta con battitori e cacciatori alle poste. L’animale, scovato, cercava di fuggire, ma veniva raggiunto dalla coppiola a pallettoni sparata dal sig. Lodovico Venturi che riuscì a colpirlo mortalmente benché si trovasse ad una distanza di circa 70 metri. Il lupo, un maschio, pesava 34 chili.”  Courtesy Corradino Guacci

26. Lupo ucciso alla fine di dicembre 1958 in contrada “Tofara” di Montemurro (PZ) da un gruppo di appassionati cacciatori. Diana, anno 54, n. 5 del 15 marzo 1959, pag. 37. Courtesy Corradino Guacci

27. I sigg. Cesidio Paraninfi, Modesto Simonina e Michele Valletta di Lecce dei Marsi (L’Aquila) mostrano una lupa gravida di cinque piccoli, uccisa nei pressi del Parco Nazionale d’Abruzzo. Diana, Anno 54, n. 11 del 15 giugno 1959, pag. 37. Courtesy Corradino Guacci

28. Lupa catturata con la tagliola nello Spoletino. Diana, Anno LV, n. 4 del 29 febbraio 1960, pag. 14. T. Laurenti. Courtesy Corradino Guacci

29. Una lupa di 23 chili recentemente abbattuta dal sig. Biagio Barletta di Laino Borgo (Cosenza). Diana, Anno LV, n. 4 del 29 febbraio 1960, pag. 39. Courtesy Corradino Guacci

30. Lupo abbattuto dal sig. Michele Scalindi di Lanciano (Chieti) nel bosco della Mannuna. Diana, Anno LV, n. 7 del 15 aprile 1960, pag. 39. Courtesy Corradino Guacci

31. Lupo e volpi catturati ad opera della Sez. Cacciatori di Spoleto. Diana, Anno LV, n. 16-17 del 31 agosto-15 settembre 1960, pag. 30. Courtesy Corradino Guacci.

32. Il sig. Raffaele Andria, organizzatore delle battute, mostra, con un collaboratore, due dei grossi lupi uccisi nelle foreste del Gelbison. Diana, Anno LV, n. 18 del 30 settembre 1960, pagg. 50-51.
                                                                                          Riuscite battute al lupo sul “Gelbison” a quota 1700
Organizzate e dirette dal dinamico rag. Andria, due battute al lupo si sono effettuate nel Cilento ed hanno dato esito insperato per l’abbattimento di sette lupi complessivamente. Da lunghi anni, ormai, non si ottenevano simili risultati i quali, in verità, data l’eccezionalità del caso, hanno stupito ed interessato molti cacciatori e competenti.
Nella prima battuta ben sei lupi ed un gatto selvatico venivano abbattuti: di questi tre restavano freddati, mentre altrettanti feriti mortalmente, venivano recuperati il giorno successivo. Nella seconda battuta, effettuata a distanza di una settimana, fu ucciso un solo esemplare, mentre un altro, ferito, non è stato ancora rintracciato.
La notizia è stata particolarmente accetta alle popolazioni montane e sopratutto ai pastori, intimoriti dalle frequenti razzie che i predoni compivano ai danni di vitelli, pecore, capre, cani e, talvolta, persino maiali. Veramente rilevante il numero dei lupi scovati, il quale si aggira intorno ai venti capi, e la grossezza dei medesimi; uno di essi infatti ucciso nella prima battuta, superava i cinquanta chilogrammi di peso. Si conta di effettuare nelle prossime settimane qualche altra battuta onde ridurre ancora il numero delle belve.
Le battute svolte hanno costituito uno spettacolo meraviglioso per le bellezze naturali del paesaggio, profumato da balsamici effluvi delle abetaie, incorniciato dal verde dei faggi e dominato dal Santuario della Madonna del Sacro Monte.
La riuscita delle battute è legata all’impegno degli alacri battitori di Novi Velia e sopratutto all’encomiabile attività del rag. Andria il quale ha lavorato intensamente per diversi giorni, alternandosi fra Cannalonga, Novi Velia, San Sumino, Cuccaro Vetere allo scopo di organizzare postaioli e battitori.
Alla prima battuta prendevano parte solo pochissimi volenterosi, fra i quali, degni di nota, il prof. Puca, dott. Sica, i proff. Paolino e Feola, il sig. Romanelli. Entusiasmati per l’ottimo risultato ottenuto, alla seconda hanno preso parte molti altri compresi i predetti, tra i quali il sig. Cobellis, i fratelli Mainenti, il sig. Passarelli, il sig. De Vita e il sig. Positano.Si ringrazia il Comitato Provinciale della Caccia di Salerno per la cortese e sollecita autorizzazione concessa.
Francesco Castiello
Courtesy Corradino Guacci

33. Il sig. Raffaele De Cristoforo di Montella (Avellino) mostra le spoglie di una lupa di oltre 40 chili, da lui recentemente abbattuta, pregna di sei lupacchiotti. Diana, Anno LVI, n. 10 del 31 maggio 1961, pag. 49. Courtesy Corradino Guacci

34. Lupo ucciso dai sigg. Giovanni Rizzo e Giglio Pantalio, in località “Campanaro”, nel comune di Fagnano Castello (Cosenza). Diana, Anno LVII, n. 10 del 31 maggio 1962, pag. 43. Courtesy Corradino Guacci

35. Una lupa uccisa in contrada “Candelecchia” del comune di Trasacco (L’Aquila) dai cacciatori Quirino Fosca, Augusto Taricone, Antonio Oddi e Alberto Rosai; la lupa, insieme ad un maschio finora sfuggito alla cattura, aveva causato in questi ultimi anni gravi danni nella zona, divorando tra l’altro diecine di segugi. Diana, Anno LVIII, n. 24 del 31 dicembre 1963, pag. 47. Courtesy Corradino Guacci

36. Il guardiacaccia Marcello Rossi di Nepi (Viterbo) con un lupo abbattuto, con l’aiuto di un pastore, dopo lunghi appostamenti. Diana, Anno LXII, n. 13 del 15 luglio 1967, pag. 105. Courtesy Corradino Guacci

37. Il nostro abbonato dr. Michele Bianchini, medico condotto a Muro Lucano, in provincia di Potenza, ci invia questa interessante e nello stesso tempo drammatica fotografia. Immortala il pastore Antonio Melucci -accanito cacciatore di nocivi, in particolare di lupi, che nel corso dell’anno arrecano notevoli danni al suo gregge- davanti alla porta di casa, dove ha steso le spoglie di ben cinque cuccioloni di lupo, catturati in una sola volta grazie alla inesorabile efficacia dei bocconi avvelenati alla stricnina posti nei luoghi abitualmente frequentati dalle belve. L’interessante ed eccezionale cattura è avvenuta, nello scorso mese di novembre, in agro di Muro Lucano, contrada Pietrosa. Diana, Anno LXII, n. 23-24 del 15-31 dicembre 1967, pag. 80. Courtesy Corradino Guacci

38. A Montefortino (Ascoli Piceno) il cacciatore Ignazio Rossi Brunori, nello scorso mese di gennaio, ha condotto una proficua lotta ai nocivi. Ne mostra i risultati nella foto sotto: sei volpi, due faine ed un … lupo, che aveva sgozzato diverse capre. Diana, Anno LXIII, n. 4 del 29 febbraio 1968, pag. 66. Courtesy Corradino Guacci

39. A Muro Lucano (Potenza) il sig. Giuseppe Michele Sarcinella, mentre era in un bosco a cacciare volpi, si è visto passare dinanzi due lupi a brevissima distanza; con un bel sangue freddo il cacciatore riuscì a sparare e uccise una delle due belve: una femmina. Diana, Anno LXIII, n. 4 del 29 febbraio 1968, pag. 66. Courtesy Corradino Guacci

40. Alessandro Di Sario di Castronuovo S. Andrea (Potenza), il 24 marzo scorso, mentre si recava alla posta dei colombacci nel bosco “Caliuvo”, verso le 5,30 del mattino, si trovò davanti in un fossato un grosso lupo. Il Di Sario non perse la calma e scaricò sulla belva la doppietta, caricata con cartucce a pallini minuti. Il lupo, ferito, fuggì, ma il cacciatore non si dette per vinto: lo inseguì e lo finì con altri quattro colpi. Diana, Anno LXIII, n. 10 del 31 maggio 1968, pag. 73.Courtesy Corradino Guacci

41. Un carniere veramente fuori dal comune è certamente quello realizzato, il 30 maggio scorso, dall’orefice salernitano Antonio Galdi, il quale sulle colline di Giovi -ed è questo un fatto veramente singolare- ha ucciso un lupo. Il sig. Galdi che ha una villetta nei pressi di Masso della Signora, ha avvistato il selvatico all’alba e non ha avuto un attimo di esitazione: è corso in casa, ha preso il fucile e con un colpo ben diretto ha abbattuto l’animale, che ha poi donato alla Sezione Cacciatori. Diana, Anno LXIII, n. 14 del 31 luglio 1968, pag. 60. Courtesy Corradino Guacci

42. Il sig.Mauro Morra (al centro nella foto), durante una battuta al cinghiale effettuata il 12 gennaio scorso dal gruppo “Cacciarella” sui Monti della Tolfa (Roma) ha abbattuto un grosso e vecchio lupo che, fin dall’inverno del 1956, scorrazzava per le campagne facendo strage di ogni specie di bestiame domestico. Diana, Anno LXIV, n. 5 del 15 marzo 1969, pag. 55. Courtesy Corradino Guacci

43. Il nostro corrispondente Corrado Liberatore ci informa che, il 25 gennaio scorso, due noti cacciatori di Pescocostanzo, i sigg. Mario Ricciardelli ed Ennio Rosato, riuscivano ad abbattere un magnifico esemplare di lupa nei pressi di Rivisondoli, in provincia de L’Aquila. La lupa, dell’età di cinque anni, pesava circa 44 chili, era alta al garrese cm. 65 ed aveva un manto perfetto. Diana, Anno LXIV, n. 7 del 15 aprile 1969, pag. 73. Courtesy Corradino Guacci

44. Le abbondanti nevicate cadute nella prima decade di gennaio sui rilievi dell’Appennino calabro-lucano hanno cacciato a valle, spinti dalla fame, i lupi che si annidavano nei più selvaggi recessi del Pollino. Ce ne dà notizia il nostro collaboratore Vincenzo Celano, che ci invia questa foto -scattata da Angelo Rocca di Mormanno (Cosenza)- di un lupo dell’età di circa tre anni, ucciso il 6 febbraio scorso dal sig. Umberto Vecchiano, in località “Cavalera” di Mormanno. Diana, Anno LXIV, n. 9 del 15 maggio 1969, pag. 57. Angelo Rocca. Courtesy Corradino Guacci

45. Eufranio Chiaretti luparo di Leonessa (RI). Diana, Anno LXV, n. 17 del 15 settembre 1970, pag. 94. Vedi articolo di Antonio Zita in “Miscellanea”. Courtesy Corradino Guacci

46. Magnifico lupo ucciso il 15 dicembre u.s. dal socio della sezione di Foligno sig. Pietro Epifani, durante una posta alla lepre a pochi chilometri dalla città. Venatoria, anno V, n. 1 del 5 gennaio 1935. Courtesy Aldo Oriani

47. La lupa uccisa dal presidente della sezione Torrepasseri sig. Egisto Colonna con l’ausilio di Giovanni Giordano di Caramanico. Venatoria, anno V, n. 12 del 21 marzo 1935. Courtesy Aldo Oriani

48. Carniere calabrese di fine gennaio. Venatoria , Anno V, n. 8 del 21 febbraio 1935. Courtesy Aldo Oriani

49. Spezzano Albanese  Gennaio 1935 – Nel tondo Caccia-lupi…Pierino. Venatoria, Anno V, n. 8 del 21 febbraio 1935. Courtesy Aldo Oriani

50. La foto dell’ultimo lupo abbattuto in Piemonte. Risale al 1921, i cacciatori erano Francesco e G. Battista Fulcheri e Stefano Massa. I cacciatori incassarono una cospicua taglia che pendeva sull’animale. Piemonte Parchi Speciale “L’ululato del lupo – Il ritorno del predatore”, Supplemento n. 1 al n. 3 del giugno 1997. Qualche curiosità: la foto fu realizzata in studio, l’esemplare fu trasportato per le vie di Mondovì su un carro preceduto da una trombetta per la “cria”  che attirava i curiosi. In seguito fu trasportato a Torino e tassidermizzato. In tutti questi anni è rimasto proprietà della famiglia Fulcheri ed è stato restaurato due anni fa (1995). A. Bonansea di Mondovì Piazza. Courtesy Corradino Guacci

51.  I primi tre lupi  (due maschi ed una femmina) uccisi con la stricnina a Pescasseroli nel novembre del 1924 dal primo direttore del Parco nazionale d’Abruzzo Carlo Paolucci. Courtesy Corradino Guacci

52. Esito di una battuta di caccia al lupo (anni ’30?) sui Monti Picentini in località lago Laceno, territorio di Bagnoli Irpino. A. Capozzi di Bagnoli Irpino. Courtesy prof. Orfeo Picariello (Avellino)

53. Il lupo, ucciso nella valle del Savio, viene esibito in paese dai cacciatori. “Il bosco e lo schioppo – Vicende di una terra di confine tra Romagna e Toscana” a cura di Gian Luca Corradi e Natale Graziani – Le Lettere, Firenze, 1997. Courtesy Corradino Guacci

54. Valdidentro (SO) 1884

55. Valdisotto (SO) 1902